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DinarBot Hook v1.0.0.3 author VixBox

maurow
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La libertà non si insegna, è una scelta individuale.
22/09/2011, 16:52
#1
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ma non serve disattivare sempre vero??!?!
io di solito lo attacco la notte...


22/09/2011, 20:14
#2
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maurow
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(22/09/2011, 20:14)menghi69 Ha scritto:

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ma non serve disattivare sempre vero??!?!
io di solito lo attacco la notte...

avendo il GM Warn dovrebbe uscire da solo se entra un admin..


La libertà non si insegna, è una scelta individuale.
22/09/2011, 22:12
#3
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(Questo messaggio è stato modificato l'ultima volta il: 22/09/2011, 23:15 da x7PrimoPugile7x.)

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Scusate ehh ma avete aperto il file non è neanche una dll ???

22/09/2011, 23:05
#4
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(Questo messaggio è stato modificato l'ultima volta il: 22/09/2011, 23:22 da MAUROW.)

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(22/09/2011, 23:05)PrimoPugile Ha scritto:

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Scusate ehh ma avete aperto il file non è neanche una dll ???

ma che file hai scaricato? dll..ok!!!





La libertà non si insegna, è una scelta individuale.
22/09/2011, 23:21
#5
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a me dice failed to inject mi potreste suggerire un injector??

24/09/2011, 15:34
#6
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maurow
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(24/09/2011, 15:34)claus9 Ha scritto:

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a me dice failed to inject mi potreste suggerire un injector??

io uso naj o sky, ma fai un pò tu : http://hackmix.altervista.org/Thread-War...07-09-2011


La libertà non si insegna, è una scelta individuale.
24/09/2011, 15:39
#7
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ook grazie Wink tu che computer hai??

25/09/2011, 11:09
#8
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Raga a me esce questo file
2.1 Fenici e Cartaginesi
2.2 Civiltà greca
2.3 Roma (753 a.C. - 476 d.C.)
2.3.1 Età regia (753 - 509 a.C.)
2.3.2 Età repubblicana (509-27 a.C.)
2.3.2.1 La conquista dell'Italia peninsulare
2.3.2.2 Le Guerre Puniche e i conflitti in Oriente
2.3.2.3 I Gracchi
2.3.2.4 L'influenza della conquista della Grecia sui costumi dei Romani
2.3.2.5 L'estensione della cittadinanza: la guerra sociale
2.3.2.6 Le rivendicazioni degli schiavi: le guerre servili
2.3.2.7 La crisi della Repubblica: da Mario ad Augusto
2.3.3 Età imperiale (27 a.C.-476 d.C.)
2.3.3.1 L'Italia sotto Augusto: le undici regioni augustee
2.3.3.2 Dinastia Giulio-Claudia (14-6Cool
2.3.3.3 Dinastia dei Flavi (69-96)
2.3.3.4 Dinastia degli Antonini: gli imperatori adottivi (96-192)
2.3.3.5 Dinastia dei Severi (193-235)
2.3.3.6 L'Anarchia militare (235-284)
2.3.3.7 Tardo Impero (284-395)
2.3.3.8 L'Impero romano d'Occidente (395-476)
3 L'Alto Medioevo
3.1 Eruli, Goti e Bizantini (476-56Cool
3.2 I Longobardi, il Ducato romano e i Bizantini (568-774)
3.3 L'Italia divisa tra Carolingi, Bizantini e Arabi (774-1002)
4 Basso Medioevo (1000-1492)
4.1 La Chiesa riformata, la lotta per le investiture, la prima crociata (1000-1100)
4.2 I Comuni, il Regno di Sicilia (1100-1250)
4.3 La rinascita culturale nei Comuni
4.4 L'affermazione delle signorie nel nord Italia (1259-132Cool
4.5 Il declino del Papato e dell'Impero (1302-1414)
4.6 Il meridione tra Angioini e Aragonesi (1250-1442)
4.7 Le lotte tra gli stati italiani (1412-1454)
4.8 La Pace di Lodi e la politica dell'equilibrio (1454-1492)
4.9 Il Rinascimento italiano
5 La sottomissione degli Stati italiani fra 1500 e 1700
5.1 La discesa di Carlo VIII in Italia
5.2 Carlo V e Francesco I
5.3 La dominazione spagnola
5.3.1 Condizioni dell'Italia nel seicento
5.3.2 La rivolta di Masaniello
5.3.3 La guerra di successione spagnola
5.4 La dominazione austriaca
5.4.1 La guerra della Quadruplice Alleanza
5.4.2 La guerra di successione polacca
5.4.3 Guerra di successione austriaca
5.4.4 Condizioni dell'Italia nel settecento
6 L'Italia sotto il dominio napoleonico
7 La Restaurazione
8 Il Regno di Sardegna
8.1 I Savoia
9 I moti carbonari
10 Risorgimento
10.1 Prima guerra d'indipendenza
10.2 Seconda guerra d'indipendenza
10.3 Spedizione dei Mille e nascita del regno d'Italia
10.4 Terza guerra d'indipendenza
11 Storia d'Italia dall'unità a oggi
11.1 L'Italia liberale (1861-1914)
11.1.1 La destra storica
11.1.2 La sinistra storica
11.1.3 L'epoca giolittiana
11.2 L'avventura coloniale
11.2.1 Il Corno d'Africa
11.2.2 Altre colonie acquisite nel primo ventennio del novecento
11.2.3 Dalla Sirte al Ciad
11.2.4 Fatti di sangue durante il dominio coloniale italiano
11.3 L'Italia nella prima guerra mondiale (1915-191Cool
11.3.1 L'iniziale neutralità
11.3.2 1915-1918
11.3.3 Esito
11.4 Il ventennio fascista
11.4.1 Nascita del fascismo e marcia su Roma
11.4.2 Il fascismo diventa dittatura
11.4.3 Politica interna
11.4.4 La politica estera e l'Impero
11.5 La seconda guerra mondiale
11.5.1 Alleata con la Germania (1940-1943)
11.5.2 La caduta del fascismo, la Repubblica di Salò e la resistenza (1943-1945)
11.5.3 Epilogo del conflitto e costo della guerra
11.6 L'Italia repubblicana
11.6.1 Gli anni costituenti (1946-4Cool
11.6.2 La prima Repubblica (1948-94)
11.6.3 La seconda Repubblica (1994-attuale)
12 Note
13 Bibliografia
13.1 In italiano
13.2 In francese
13.3 In tedesco
13.4 In spagnolo
14 Voci correlate
15 Altri progetti
16 Collegamenti esterni
[modifica] Preistoria e protostoria

Per approfondire, vedi la voce Italia preistorica e protostorica.
[modifica] Preistoria
Il popolamento del territorio italiano risale alla preistoria, epoca di cui sono state ritrovate importanti testimonianze archeologiche. L'Italia è stata abitata almeno a partire dal Paleolitico. Tra i più interessanti siti archeologici italiani risalenti al Paleolitico, si ricorda quello di Monte Poggiolo, presso Forlì, di Isernia La Pineta presso Isernia, uno dei più antichi siti dove l'uomo ha usato il fuoco, e la Grotta dell'Addaura, presso Palermo, nella quale si trova un vasto e ricco complesso d'incisioni, databili fra l'Epigravettiano finale e il Mesolitico, raffiguranti uomini ed animali. Tra i popoli insediatisi nel Neolitico, quando l'uomo da cacciatore divenne anche pastore e agricoltore, si ricordano i Camuni (in Val Camonica).


Cartina con i maggiori centri etruschi ed "espansione" della civiltà etrusca nel corso dei secoli
[modifica] Etruschi e genti italiche
Per approfondire, vedi la voce Popoli dell'Italia antica.
Le informazioni sulle genti abitanti la Penisola in epoca preromana sono, in taluni casi, incomplete e soggette a revisione continua. Popolazioni di ceppo indoeuropeo, trasferitesi in Italia dall'Europa Orientale e Centrale in varie ondate migratorie (Veneti, Osco-umbri, Latini, ecc.), si sovrapposero ad etnie pre-indoeuropee già presenti nell'attuale territorio italiano, o assorbendole, oppure stabilendo una forma di convivenza pacifica con esse. Presumibilmente, queste migrazioni ebbero inizio in età del bronzo medio (e cioè attorno alla metà del II millennio a.C.) e si protrassero fino al IV secolo a.C. con la discesa dei Celti nella pianura padana. Fra i popoli di età preromana, meritano una particolare menzione gli Etruschi che, a partire dall'VIII secolo a.C., iniziarono a sviluppare una civiltà raffinata ed evoluta che influenzò notevolmente Roma e il mondo latino. Le origini di questo popolo non indoeuropeo, stabilitosi sul versante tirrenico dell'Italia centrale, sono incerte. Secondo alcune fonti, la loro provenienza andrebbe ricercata in Asia Minore, secondo altre, avrebbero costituito un'etnia autoctona. Certo è che, già attorno alla metà del VI secolo a.C., riuscirono a creare una forte ed evoluta federazione di città-stato che andava dalla Pianura Padana alla Campania e che comprendeva anche Roma ed il suo territorio.
In Italia settentrionale, accanto ai Celti (comunemente chiamati Galli) e ai Leponzi, anch'essi Celti, vi erano i Liguri (originariamente non indoeuropei poi fusisi con i Celti[1]) stanziati in Liguria e parte del Piemonte mentre nell'Italia nord-orientale vivevano i Veneti (paleoveneti) di probabile origine illirica[2] o provenienti dall'Asia Minore ma molto più probabilmente, secondo la moderna ricerca[3], centro-europei[4]. Nell'Italia più propriamente peninsulare accanto agli Etruschi, convivevano tutta una serie di popoli, in massima parte di origine indoeuropea, fra cui: Umbri in Umbria; Latini, Sabini, Falisci, Volsci ed Equi nel Lazio; Piceni nelle Marche ed in Abruzzo Settentrionale; Sanniti nell'Abruzzo Meridionale, Molise e Campania; Apuli, Messapi e Iapigi in Puglia; Lucani e Bruttii nell'estremo Sud; Siculi, Elimi e Sicani (non indoeuropei, probabilmente autoctoni) in Sicilia. La Sardegna era abitata, fin dal II millennio a.C., dai nuragici, risultato di un probabile connubio tra le preesistenti popolazioni megalitiche presenti nell'isola e i controversi Shardana. Alcune di queste popolazioni, stanziate nell'Italia meridionale e nelle isole, si troveranno a convivere, dall'VIII fino al III secolo a.C., con le colonie greche e fenicie (puniche) successivamente assorbite dallo stato romano. Fra le popolazioni citate, oltre ai già citati Etruschi, ebbero un ruolo importante in epoca preromana e romana i Sanniti, che riuscirono a costituire un'importante federazione in una vasta area dell'Italia appenninica e che contrastarono a lungo l'espansione romana verso l'Italia meridionale. Nell'area laziale, invece, un posto a sé stante meritano i Latini protagonisti, insieme ai Sabini, della primitiva espansione dell'Urbe e forgiatori, insieme agli Etruschi ed ai popoli italici più progrediti (Umbri, Falisci, ecc.), della futura civiltà romana.
[modifica] Storia antica



Dislocazione di alcuni insediamenti Cartaginesi e Greci nel 580 a.C.
[modifica] Fenici e Cartaginesi
Per approfondire, vedi le voci Espansione cartaginese in Italia, Storia della Sardegna fenicia e cartaginese, Storia della Sicilia fenicia e Trattati Roma-Cartagine.
I primi stanziamenti fenici in Italia sono datati attorno all'VIII secolo a.C. quando, dopo un iniziale fase di precolonizzazione del Mediterraneo occidentale e di fondazione di città come Utica e Cartagine, si insediarono sulle coste della Sardegna e nella Sicilia occidentale. Nacquero Mozia (da cui più tardi Lilibeo), Palermo, Solunto in Sicilia e Sulci, Nora, Tharros, Bithia, Kalaris in Sardegna[5].
Mentre in Sicilia lo stanziamento fenicio non incontrò grandi reazioni da parte degli autoctoni (a Monte Erice, per esempio, un tempio fu dedicato ad Astarte, dea-madre dell'area cananea, che veniva frequentato dai Fenici e dagli Elimi[6]), in Sardegna per la strenua resistenza opposta dai Sardo nuragici, non riuscirono a controllare territori molto ampi lontano dalle loro città. La visione dei Fenici colonizzatori è stata ridimensionata dalle scoperte archeologiche di fine XX secolo che evidenziano come in realtà i mercanti levantini frequentavano approdi già abitati dagli autoctoni con i quali avevano un pacifico rapporto di reciproci scambi commerciali. Il notevole flusso di merci favorì l'ampliarsi di questi approdi che vennero dotati di migliori strutture portuali e di un'edilizia mutuata proprio dai Fenici i quali, tramite matrimoni misti, si integrarono perfettamente con gli autoctoni apportando nuove conoscenze e nuovi stili di vita[7].
Solo con l'arrivo dei Punici, a metà del VI secolo a.C., con la spedizione del semileggendario Malco, iniziò il tentativo di conquista vera e propria delle isole maggiori. Cartagine, a tre secoli dalla fondazione, era diventata potenza egemone dell'Africa settentrionale fermando in Libia la colonizzazione greca vincendo Cirene. In Sicilia invece la colonizzazione greca aveva relegato la presenza punica nell'estrema punta occidentale dell'isola. I Cartaginesi allora, spinti da interessi di carattere demografico e economico, tentarono di conquistare l'intera Sicilia, cacciando da essa i Greci. Ciò avrebbe consentito il totale controllo dei due passaggi dal Mediterraneo Orientale a quello Occidentale. Le guerre greco-puniche (550 a.C.-275 a.C.) non portarono a grandi risultati, allargando a fasi alterne la sfera di influenza cartaginese o greca in Sicilia senza che nessuno dei due popoli riuscisse a prevalere nettamente sull'altro. Lo scontro tra le due civiltà si concluse con lo scoppio della prima guerra punica che tolse ai Cartaginesi le aree siciliane e pose una pesante ipoteca su Siracusa, unico regno siceliota importante. Cartagine riuscì comunque a bloccare quasi completamente l'espansione greca nel Mediterraneo occidentale. In Sardegna invece i Cartaginesi conquistarono la parte meridionale dell'isola, pur incontrando maggiori difficoltà a causa della resistenza opposta dalle popolazioni autoctone. Nel corso del tempo i Cartaginesi chiusero le coste dell'isola in un vero e proprio cerchio di fortezze e colonie[8]. La conquista della Sardegna permise il controllo della produzione mineraria e agricola in relazione alle necessità puniche e non solo autoctone. L'agricoltura sarda si basava principalmente sulla produzione di grano tanto che già nel 480 a.C. Amilcare, impegnato nella battaglia di Imera, fece venire dalla Sardegna i rifornimenti di grano per le sue truppe, che si trovavano in Sicilia. Lo pseudo-aristotelico De mirabilibus auscultationibus riporta che Cartagine proibiva la coltivazione di piante da frutto per incentivare la monocultura del grano[9]. Anche l'artigianato sardo subì profonde influenze puniche.
Cartagine entrò anche nella storia d'Italia peninsulare alleandosi con gli Etruschi per combattere i pirati greci di Alalia, in Corsica. Le Lamine di Pyrgi testimoniano quanto fosse sentito l'influsso cartaginese sulle coste toscane e laziali. Nel 509 a.C., infine, la neonata Repubblica romana e i cartaginesi siglarono il primo dei Trattati Roma-Cartagine, che segnò l'inizio di relazioni diplomatiche stabili fra le due città. Successivamente vennero conclusi altri trattati, in cui vennero concesse ulteriori concessioni all'Urbe fino alla caduta definitiva di Cartagine.
Tetradracma di Siracusa

Testa di Aretusa Auriga alla guida di una quadriga
Argento ca. 415-405 a.C.
[modifica] Civiltà greca
Per approfondire, vedi le voci Magna Grecia e Sicilia greca.
Tra l'VIII ed il VII secolo a.C., coloni provenienti dalla Grecia iniziarono a stabilirsi sulle coste dell'Italia meridionale e in Sicilia. Le prime colonie ad essere costituite furono quelle ioniche e peloponnesiache: gli Eubei e i Rodii fondarono Cuma, Reggio Calabria, Napoli, Naxos e Messina, i Corinzi Siracusa (i cui abitanti a loro volta fonderanno l'odierna Ancona), i Megaresi Leontinoi, gli Spartani Taranto, mentre coloni provenienti dall'Acaia furono all'origine della nascita di Sibari e di Crotone. Altre importanti colonie furono Metaponto, fondata anch'essa da coloni Achei, Heraclea e Locri Epizefiri.
Con la colonizzazione greca i popoli italici entrarono in contatto con una civiltà raffinata, caratterizzata da espressioni artistiche e culturali elevate che diedero origine nel Sud Italia e in Sicilia alla fioritura di filosofi, letterati, artisti e scienzati sia di origine greca (Pitagora) che autoctona (Teocrito, Parmenide, Archimede, ecc.). I Greci furono anche portatori di istituzioni politiche sconosciute all'epoca che prefiguravano forme di democrazia diretta. Tra le principali città greche in Italia vi fu Napoli, il cui porto, specialmente a partire dal 420 a.C., in concomitanza col calo dell'influenza ateniese, si impose tra i più importanti del Mediterraneo[10]. Anche Siracusa, fra il V ed il IV secolo a.C. conobbe un notevole sviluppo demografico ed economico. I contrasti fra le colonie greche e le popolazioni autoctone furono frequenti, nonostante i Greci cercassero di instaurare rapporti pacifici favorendo, in molti casi, un loro lento assorbimento. La ricchezza e lo splendore delle colonie furono tali da far identificare l'Italia meridionale peninsulare dagli storici romani con l'appellativo di Magna Grecia. Nel III secolo a.C. tutte le colonie italiote della Magna Grecia e quelle siciliane furono assorbite nello Stato romano. Per molte di esse iniziò un fatale declino.


La scultura rappresenta la Lupa capitolina che allatta i gemelli Romolo e Remo che furono aggiunti, probabilmente da Antonio del Pollaiolo, nel tardo XV secolo.
[modifica] Roma (753 a.C. - 476 d.C.)
Per approfondire, vedi le voci Storia romana e Fondazione di Roma.
Secondo la tradizione, la città di Roma fu fondata il 21 aprile del 753 a.C. da Romolo sul colle palatino. In realtà, già in precedenza erano sorti villaggi in quella posizione, fondamentale per la via di commercio del sale, ma solo alla metà dell'VIII secolo a.C. questi si unirono in una sola città. La zona era dotata, inoltre, di un buon potenziale agricolo, e la presenza dell'isola Tiberina rendeva facile l'attraversamento del vicino fiume Tevere.
[modifica] Età regia (753 - 509 a.C.)
Per approfondire, vedi la voce Età regia di Roma.
Romolo instaurò nella città il regime monarchico: fino al 509 a.C., Roma fu retta, secondo la tradizione, da sette re,[11] che apportarono notevoli contributi allo sviluppo della società. Ognuno dei primi quattro, infatti, operò in un diverso ambito dell'amministrazione statale: il fondatore eponimo Romolo diede il via alla prima guerra di espansione contro i Sabini, originatasi dall'episodio del ratto delle Sabine, e associò al trono il re nemico Tito Tazio, allargando per primo le basi del neonato stato romano. Suddivise poi la popolazione in tre tribù e pose le basi per la ripartizione tra patrizi e plebei. Il suo successore Numa Pompilio istituì i primi collegi sacerdotali, come quello delle Vestali, e riformò il calendario. Il terzo re, Tullo Ostilio, riprese le ostilità contro i popoli vicini e sconfisse la città di Alba Longa, mentre il successore Anco Marzio costruì il primo ponte di legno sul Tevere, fortificò il Gianicolo e fondò il porto di Ostia.
Ai primi quattro re, di origine latina, fecero seguito altri tre di origine etrusca: verso la fine del VII secolo a.C., infatti, gli Etruschi, all'apogeo della loro potenza, estesero la loro influenza anche su Roma, che stava divenendo sempre più grande e la cui importanza a livello economico iniziava a farsi considerevole. Era dunque fondamentale per gli Etruschi assicurarsi il controllo su una zona che assicurava il passaggio delle rotte commerciali; comunque non si ebbe mai un reale controllo militare etrusco su Roma. Il primo re etrusco, Tarquinio Prisco, combatté contro i popoli confinanti, ordinò la realizzazione di numerose opere pubbliche, tra cui il Circo Massimo, la Cloaca Massima e il tempio di Giove Capitolino sul Campidoglio e apportò, infine, anche alcuni cambiamenti in campo culturale. Il suo successore, Servio Tullio, fu, secondo la leggenda, l'ideatore dell'ordinamento centuriato, sostituendolo alla precedente ripartizione della popolazione e combatté anch'egli contro alcune delle principali città etrusche e latine limitrofe a Roma. Ultimo monarca a governare Roma fu Tarquinio il Superbo, espulso dall'Urbe nel 510 a.C., secondo la leggenda con l'accusa di aver violentato la giovane Lucrezia; il patriziato romano, comunque, non era più disposto a sottostare al potere centralizzato del re, ma desiderava acquisire un'influenza, in campo politico, pari a quella che già rivestiva negli altri ambiti della vita civile.
[modifica] Età repubblicana (509-27 a.C.)
Per approfondire, vedi la voce Repubblica Romana.
[modifica] La conquista dell'Italia peninsulare
Dopo la cacciata di Tarquinio il Superbo ed il fallimento (determinato, secondo la leggenda, dalle eroiche azioni di Muzio Scevola, Orazio Coclite e Clelia) del suo tentativo di recuperare il trono con l'aiuto degli Etruschi condotti dal lucumone di Chiusi, Porsenna, fu instaurata, ad opera di Lucio Giunio Bruto, organizzatore della rivolta antimonarchica, la Repubblica. Essa prevedeva la spartizione tra più cariche dei poteri precedentemente appartenuti a un uomo solo, il re: il potere legislativo fu assegnato alle assemblee dei comizi centuriati e del senato, e furono create numerose magistrature, consolato, censura, pretura, questura, edilità, che gestissero i vari ambiti dell'amministrazione. Tutte le cariche, tra le quali il consolato e il pretorato erano cum imperio, erano collegiali, in modo tale che si evitasse l'affermazione di singoli uomini che potessero accentrare il potere nelle loro mani.
Roma si trovò subito a lottare contro le popolazioni latine delle zone limitrofe, sconfiggendole nel 499 a.C. (o, secondo altre fonti, nel 496 a.C.) nella battaglia del Lago Regillo, e federandole a sé nella Lega Latina mediante la firma del foedus Cassianum, nel 493 a.C.[12] Combatté poi contro gli Equi e i Volsci, e, una volta sconfitti, si scontrò con la città etrusca di Veio, espugnata da Marco Furio Camillo nel 396 a.C.
I primi anni di vita della Repubblica Romana furono notevolmente travagliati anche nell'ambito della politica interna, in quanto le gravi disuguaglianze sociali che avevano portato alla caduta del regno non erano state cancellate. I plebei avviarono così una serie di proteste contro la classe dominante dei patrizi: nel 494 a.C., infine, si ritirarono in secessione sul colle Aventino. La situazione si risolse con l'istituzione della magistratura del tribunato della plebe e con il riconoscimento del valore legale delle assemblee popolari. Importanti acquisizioni furono anche la redazione, nel 450 a.C. da parte dei decemviri, delle leggi delle XII tavole, che garantivano una maggiore equità in ambito giudiziario, e l'approvazione della lex Canuleia, nel 445 a.C.
Nel 386 a.C. l'esercito romano fu sconfitto dai Galli guidati da Brenno, che sottoposero l'Urbe ad un rovinoso saccheggio. Vent'anni dopo, nel 367 a.C., furono promulgate le leges Liciniae Sextiae, che ampliarono ulteriormente i diritti della plebe.
Consolidata la propria egemonia nell'Italia centrale, Roma volse le proprie mire espansionistiche verso sud attaccando i Sanniti, contro i quali combatté tre difficili guerre (nel 343-341 a.C., nel 327-304 a.C. e nel 298-290 a.C.), che, nonostante alcune umilianti disfatte inflitte dai Sanniti a Roma (celebre quella delle Forche Caudine nel corso della seconda guerra sannitica), si conclusero dopo alterne vicende con la vittoria romana e la sottomissione totale dei Sanniti.
Consolidata la propria egemonia sull'Italia centro-meridionale, Roma arrivò a scontrarsi con le città della Magna Grecia e con la potente Taranto, che invocarono allora l'aiuto del re d'Epiro Pirro, che sbarcò in Italia con un potente esercito comprendente anche elefanti da guerra; nonostante alcune sofferte vittorie (con grandissime perdite) contro i Romani a Heraclea e ad Ascoli, Pirro fu duramente sconfitto a Maleventum nel 275 a.C. e costretto a tornare oltre l'Adriatico. Taranto, dunque, fu nuovamente assediata e costretta alla resa nel 272 a.C.: Roma era così potenza egemone nell'Italia peninsulare, a sud dell'Appennino Ligure e Tosco-Emiliano.


Annibale Barca
[modifica] Le Guerre Puniche e i conflitti in Oriente
Per approfondire, vedi le voci Guerre Puniche, Guerre macedoniche e Guerra contro Antioco III e lega etolica.
La conquista dell'Italia portò Roma a scontrarsi con l'altra grande potenza del Mediterraneo Occidentale: Cartagine. Le guerre che si scatenarono furono di inaudita ferocia e di notevole durata, ma videro infine il trionfo totale di Roma. Nel 264 a.C. Roma inviò un piccolo contingente in soccorso di Messina, con l'intento di assicurarsi il controllo dello stretto, fondamentale per il transito delle navi: i Cartaginesi, che ambivano anch'essi al controllo dell'isola, decisero di reagire con la guerra. Dopo una prima fase di scontri terrestri, in cui riuscì ad ottenere alcune vittorie, Roma decise di sfidare i Cartaginesi sul mare, e, approntata una flotta di navi dotate di corvi, riuscì ad ottenere alcune importanti vittorie navali, anche se il tentativo di Marco Atilio Regolo di portare la guerra sul suolo africano e imporre la resa a Cartagine fallì e il console, catturato, venne giustiziato facendolo rotolare dentro una botte. La guerra finì, dopo alterne vicende, con la vittoria di Roma (241 a.C.),[13] che poté così estendere il suo dominio annettendo Sicilia, Sardegna e Corsica; sconfisse inoltre i pirati illirici che, tacitamente supportati dalla regina Teuta, infestavano le coste adriatiche e, qualche anno più tardi, riportò una grande vittoria in pianura padana contro i Celti nella battaglia di Clastidium (222 a.C.), che fu seguita dalla deduzione delle colonie di Piacenza e Cremona.
Nel frattempo, preoccupato dalle mire espansionistiche puniche in Spagna, il Senato stipulò un nuovo patto con Cartagine; quando tuttavia nel 218 a.C. il generale punico Annibale Barca attaccò la città di Sagunto, alleata di Roma, si decise di dichiarare nuovamente guerra a Cartagine. Annibale, allora, valicò le Alpi con un potente esercito comprendente anche elefanti e inflisse varie sconfitte alle legioni romane. Dopo una fase di stallo, durante la quale Roma poté riorganizzarsi, grazie alla politica attuata dal dictator Quinto Fabio Massimo, soprannominato Cunctator (temporeggiatore), le legioni romane al comando dei consoli Lucio Emilio Paolo e Gaio Terenzio Varrone subirono una pesante sconfitta contro Annibale a Canne (216 a.C.). Mentre numerose città si alleavano con i Cartaginesi e anche la Macedonia di Filippo V scendeva in guerra contro Roma, Annibale si attardò nel Sud Italia (ozi di Capua), mentre i Romani, seppure provati, poterono lentamente ricostituire le proprie forze: il console Publio Cornelio Scipione ottenne diverse vittorie sui Cartaginesi in Spagna, mentre in Italia Roma riuscì ben presto a recuperare le città italiche che l'avevano tradita per allearsi con Annibale e sconfisse anche il fratello di Annibale, Asdrubale Barca, mentre tentava di portare rinforzi ad Annibale. Il generale punico, stremato da un decennio di guerra e vistosi negare i rinforzi dalla madrepatria, fu costretto a fare ritorno in Africa nel 203 a.C., dopo che Scipione, conquistata la Penisola Iberica e ristabilita la situazione in Italia, era sbarcato in Africa per tentare di ottenere una vittoria definitiva. Scipione alla fine ottenne una vittoria decisiva su Annibale a Zama, costringendo Cartagine a capitolare e ad accettare le dure condizioni di pace imposte da Roma.
In Italia settentrionale, intanto, i Celti o Galli, sollevatisi contro Roma durante la seconda guerra punica, si impadronirono di Piacenza (200 a.C.), costringendo Roma a intervenire in forze. Nel 196 a.C. Scipione Nasica vinse gli Insubri, nel 191 a.C. furono piegati i Boi, che controllavano una vasta zona tra Piacenza e Rimini. Superato il fiume Po, la penetrazione romana proseguì pacificamente: le popolazioni locali, Cenomani e Veneti, realizzarono che Roma era l'unica in grado di proteggerli dagli assalti delle altre tribù confinanti. Attorno al 191 a.C. la Gallia Cisalpina fu ridotta a provincia. Nel 177 a.C. venne sottomessa anche l'Istria. Nel 175 a.C., infine, vennero soggiogati anche i Liguri Cisalpini.
Ormai potenza egemone del Mediterraneo occidentale, Roma volse le sue mire espansionistiche a danno degli stati ellenistici dell'Oriente: nel 200 a.C. intervenì a favore degli abitanti di Rodi e Pergamo, minacciati dalla Macedonia di Filippo V, costringendo Filippo, con la vittoria riportata nel 197 a.C. dal console Tito Quinzio Flaminino presso Cinocefale, a liberare la Grecia dall'egemonia macedone l'anno successivo. I Greci, tuttavia, non volendo essere sottomessi dai Romani, chiesero aiuto al re seleucide Antioco III, a cui Roma, nel 191 a.C., dichiarò guerra, vincendolo presso le Termopili (191 a.C.) e presso Magnesia (188 a.C.) e costringendolo a firmare una pace con cui cedeva a Roma parte dell'Asia Minore. Nel 171 a.C., Perseo di Macedonia, figlio di Filippo, si sollevò in armi contro i Romani, dando inizio alla terza guerra macedonica, che vide, dopo alterne vicende, il trionfo delle armi romane condotte da Lucio Emilio Paolo Macedonico a Pidna (168 a.C.) e la suddivisione del territorio macedone in quattro repubbliche subalterne e tributarie a Roma. Cartagine, intanto, era sottoposta ai continui attacchi del re numida Massinissa, alleato dei Romani, che approfittava del fatto che i Cartaginesi non potevano difendersi dai suoi attacchi senza l'autorizzazione di Roma per strappare loro territori. Dato che però l'Urbe, nonostante le richieste cartaginesi, rifiutò di intervenire per mantenere la pace, nel 150 a.C. Cartagine fu costretta a reagire con la forza a Massinissa, violando però gli accordi di pace e fornendo a Roma il pretesto di attaccare Cartagine, che nel 146 a.C. fu espugnata e rasa al suolo dal console Publio Cornelio Scipione Emiliano.
Contemporaneamente, nel 150 a.C. un tale Andrisco, un sedicente figlio di Perseo, guidò una nuova rivolta di Greci e Macedoni contro Roma, che tuttavia, dopo alcuni iniziali successi, fu duramente repressa. Nel 146 a.C. i Romani rasero al suolo Corinto. Con la sconfitta dei nemici contro cui combatteva da anni su entrambi i fronti, Roma era diventata padrona del Mediterraneo. Le nuove conquiste, tuttavia, portarono anche notevoli cambiamenti nella società romana: i contatti con la cultura ellenistica, temuta e osteggiata dallo stesso Catone, modificarono profondamente gli usi che fino ad allora si rifacevano al mos maiorum, trasformando radicalmente la società dell'Urbe.
[modifica] I Gracchi
I problemi connessi ad un'espansione così grande e repentina che la Repubblica dovette affrontare furono enormi e di vario genere: le istituzioni romane erano fino ad allora concepite per amministrare un piccolo stato; adesso le province si stendevano dall'Hispania, all'Africa, alla Grecia, all'Asia. Le continue guerre in patria e all'estero, inoltre, immisero sul mercato una quantità enorme di schiavi, i quali vennero usualmente impiegati nelle aziende agricole dei patrizi romani, con ripercussioni tremende nel tessuto sociale romano. Infatti la piccola proprietà terriera andò rapidamente in crisi a causa della maggior competitività dei latifondi schiavistici (che ovviamente producevano praticamente a costo zero), ciò provocò da una parte la concentrazione dei terreni coltivabili in poche mani e una grande quantità di merci a buon mercato, dall'altra generò la nascita del cosiddetto sottoproletariato urbano: tutte quelle famiglie costrette a lasciare le campagne si rifugiarono nell'urbe, dove non avevano un lavoro, una casa e di che sfamarsi dando origine a pericolose tensioni sociali abilmente sfruttate dai politici più scaltri.
A tentare una riforma che ponesse un rimedio alla crisi fu, per primo, Tiberio Sempronio Gracco, che emanò una legge che limitava l'occupazione delle terre dello stato a 125 ettari e riassegnava le terre eccedenti ai contadini in rovina: una famiglia nobile poteva avere 500 iugeri di terreno, più 250 per ogni figlio, ma non più di 1000; i terreni confiscati furono distribuiti in modo che ogni famiglia della plebe contadina avesse 30 iugeri (7,5 ettari). Colpendo in questo modo gli interessi delle classi aristocratiche, finì assassinato ma il Senato romano non revocò le sue leggi, che comunque diedero qualche iniziale risultato. La riforma fu poi continuata dal fratello, Gaio Sempronio Gracco, che finì suicida braccato dagli stessi sicari del fratello.
[modifica] L'influenza della conquista della Grecia sui costumi dei Romani
Anche la struttura originale della famiglia, delle relazioni sociali e della cultura romana subirono profondi sconvolgimenti: il contatto con la civiltà greca e l'arrivo nella città di moltissimi schiavi ellenici (in molti casi più colti e istruiti dei loro stessi padroni) generò nel popolo romano, specialmente tra la classe dirigente, sentimenti e passioni ambivalenti: da una parte si desiderava rinnovare i costumi rurali romani - mos maiorum - introducendo usanze e conoscenze provenienti dall'Oriente. Questo comportamento fece sì effettivamente che il livello culturale dei Romani, almeno dei patrizi, crescesse significativamente - basti pensare all'introduzione della filosofia, della retorica, della letteratura e della scienza greca - ma indubbiamente generò altresì una decadenza dei valori morali, testimoniata dalla diffusione di costumi e abitudini moralmente discutibili.
Tutto ciò naturalmente provocò una strenua opposizione da parte degli ambienti più conservatori, i quali si scagliarono contro le culture extra-romane, tacciate di corruzione dei costumi, di indecenza, di immoralità, di sacrilegio nei confronti della religione romana. Il leader dei conservatori era Catone il Censore, il quale lottò accanitamente contro l'ellenizzazione del modo di vivere romano a favore del ripristino del mos maiorum, quell'insieme di costumi e usanze tipiche della Roma arcaica che, secondo Catone, avevano permesso al popolo romano di piegare il mondo al proprio volere.
[modifica] L'estensione della cittadinanza: la guerra sociale
Per approfondire, vedi la voce Guerra sociale.
Già dal tempo dei Gracchi a Roma si avanzavano proposte d'estensione dei diritti di cittadinanza anche ad altri popoli italici fino ad allora federati ma senza successo. La speranza degli alleati italici era che a Roma prevalesse il partito di coloro che volevano concedere agli alleati italici la cittadinanza romana. Ma quando nel 91 a.C. il tribuno Marco Livio Druso, che stava preparando una proposta per concedere la cittadinanza agli alleati fu ucciso, ai più apparve chiaro che Roma non avrebbe concesso spontaneamente la cittadinanza. Fu l'inizio della guerra che dal 91 a.C. all'88 a.C. vide combattersi gli eserciti Romani e quelli italici. Gli ultimi a cedere le armi ai Romani, capeggiati tra gli altri da Silla e Gneo Pompeo Strabone, padre del futuro Pompeo Magno, furono i Sanniti. Gli italici si videro comunque riconosciuta la cittadinanza romana. Va comunque detto che allora l'Italia comprendeva solo la parte peninsulare; la parte transpadana formava la provincia della Gallia Cisalpina i cui abitanti non erano ancora cittadini romani. Nel dicembre del 49 a.C. Cesare concesse la cittadinanza romana agli abitanti della provincia e nel 42 a.C. venne abolita la provincia, facendo della Gallia Cisalpina parte integrante dell'Italia romana.


Moneta raffigurante Augusto e Marco Vipsanio Agrippa, vincitori della battaglia di Azio
[modifica] Le rivendicazioni degli schiavi: le guerre servili
Per approfondire, vedi le voci Schiavitù nell'antica Roma e Terza guerra servile.
Il fenomeno della schiavitù nell'antica Roma, con la conseguente disponibilità di una forza lavoro a basso costo sotto forma di schiavi, era un elemento importante per l'economia della Repubblica romana. Agli schiavi era perlopiù riservato, durante il periodo repubblicano, un trattamento particolarmente duro: secondo la legge, uno schiavo non era una persona, ma una proprietà privata della quale il padrone poteva abusare, danneggiare o uccidere senza conseguenze legali.[14] L'uccisione di uno schiavo era, tuttavia, un evento abbastanza raro, in quanto eliminava forza lavoro produttiva. Gli schiavi che vivevano in condizioni di vita più disagiate erano i lavoratori nei campi e nelle miniere, soggetti ad una vita di lavoro duro.[15] L'elevata concentrazione e il trattamento oppressivo della popolazione degli schiavi portò allo scoppio di varie ribellioni, dette guerre servili. Nel 135 a.C. e nel 104 a.C. scoppiarono rispettivamente la prima e la seconda guerra servile in Sicilia, rivolte scatenate da schiavi in cerca della libertà. Sebbene necessitassero di anni di interventi militari diretti per essere sedate, erano sommosse provinciali che non minacciarono mai la penisola italiana né tanto meno la città di Roma direttamente. Tutto ciò cambiò in occasione della terza guerra servile.
Essa fu una grave rivolta degli schiavi, condotta dallo schiavo e gladiatore Spartaco e scoppiata a Capua nel 73 a.C. Roma sottovalutò la minaccia e nei primi tempi numerose legioni subirono non pronosticate sconfitte contro gli schiavi ribelli, il cui numero era rapidamente cresciuto fino a 70.000. Una volta che venne stabilito un comando unificato sotto Marco Licinio Crasso, al comando di sei legioni, la ribellione venne schiacciata nel 71 a.C. Circa 10.000 schiavi fuggirono dal campo di battaglia, mentre 6.000 di essi vennero crocifissi lungo la Via Appia, da Capua a Roma. La rivolta scosse il popolo romano, che «a causa della grande paura sembrò iniziare a trattare i propri schiavi meno duramente di prima».[16] I ricchi possessori di latifundia iniziarono a ridurre il numero di schiavi impiegati nell'agricoltura, scegliendo di impiegare come mezzadri alcuni degli ex-piccoli proprietari terrieri spossessati.[17] Con lo stabilizzarsi delle frontiere e la fine delle grandi guerre di conquista dopo il principato di Traiano (98-117), si interruppero le guerre di conquista contro nemici esterni, e con esse cessò l'arrivo in massa di schiavi catturati come prigionieri. Si incrementò, al contrario, l'impiego di lavoratori liberi in campo agricolo. Anche la condizione legale e i diritti degli schiavi romani iniziarono a mutare. Durante il principato di Claudio (41-54), fu promulgata una costituzione che puniva l'assassinio di uno schiavo anziano o ammalato, e che dava la libertà agli schiavi abbandonati dai loro padroni.[18] Durante il regno di Antonino Pio (138-161), i diritti degli schiavi furono ulteriormente ampliati, e i padroni furono ritenuti direttamente responsabili dell'uccisione dei loro schiavi, mentre gli schiavi che dimostravano di essere stati maltrattati potevano forzare legalmente la propria vendita; fu contemporaneamente istituita un'autorità teoricamente indipendente cui gli schiavi si potevano appellare.[19]


Mario, un generale romano che riformò drasticamente l'esercito romano
[modifica] La crisi della Repubblica: da Mario ad Augusto
Per approfondire, vedi le voci Caio Mario, Guerre contro Giugurta, Guerra civile tra Mario e Silla, Guerra civile romana (49 a.C.) e Guerra civile tra Ottaviano e Marco Antonio.
Negli anni successivi la politica romana fu caratterizzata sempre più dal radicalizzarsi della lotta tra il partito degli ottimati e quello dei popolari, che avevano visioni politiche completamente opposte: i primi avevano come principale esponente Lucio Cornelio Silla, valente generale, mentre i secondi erano capeggiati da Gaio Mario. Quest'ultimo si era distinto in varie imprese militari: più volte console, condusse la vittoriosa guerra contro Giugurta (108 a.C.-105 a.C.) e riuscì a respingere la minaccia germanica dei Cimbri e dei Teutoni, che avevano inflitto fino ad allora pesanti sconfitte a Roma incutendo profondo timore ai Romani, con due vittorie a Aquae Sextiae e a Vercelli. Sia contro Giugurta che contro i Germani, Mario ebbe come legato un giovane nobile, di cui apprezzava le capacità militari: Silla.


Presunto ritratto di Silla
Lo scontro tra Ottimati e Popolari, fino a che Gaio Mario rimase in vita, si risolse sempre nella lotta per l'ottenimento del consolato per i candidati della propria parte politica. Morto Mario, Silla, al ritorno dalla vittoriosa guerra in oriente contro Mitridate VI re del Ponto, ritenne che il momento fosse propizio per un colpo di stato e con l'esercito in armi marciò contro Roma, dove a Porta Collina ottenne la vittoria decisiva nella guerra civile contro i mariani (82 a.C.). Per consolidare la vittoria, Silla si fece eleggere dittatore a vita e iniziò una vasta e sistematica persecuzione nei confronti dell'opposizione (le liste di proscrizione sillane) da cui il giovane Cesare, nipote di Mario, riuscì a stento a sottrarsi. Fino a che morì, nel 78 a.C., l'unica seria opposizione contro Silla, fu quella condotta da Sertorio dalla Spagna. Nel 70 a.C. la costituzione sillana venne abolita da Pompeo e Crasso, della quale erano stati dieci anni prima fautori convinti.
Il mondo romano si avviava a divenire troppo vasto e complesso per le istituzioni della Repubblica; la debolezza di queste ultime, ed in particolare del senato divenne già evidente nelle circostanze del primo triumvirato, un accordo informale con cui i tre più potenti uomini di Roma, Cesare, Crasso e Pompeo, si spartivano le sfere d'influenza e si garantivano reciproco appoggio. Dei tre, la figura di Cesare era la più emblematica dei nuovi rapporti di potere che stavano emergendo: nipote di Mario, egli aveva anche per questo aderito sin da giovane alla fazione dei populares e costruì il suo potere con le conquiste militari ed il rapporto di fedeltà personale che lo legava al suo esercito. Fu per questo che quando, dopo la morte di Crasso (53 a.C.), le ambizioni personali di Cesare e Pompeo si scontrarono, il senato preferì schierarsi con quest'ultimo, in quanto più vicino agli Optimates e più rispettoso verso i privilegi senatoriali (per quanto non sfuggisse ai più attenti, come Cicerone, che qualunque dei due contendenti avesse prevalso il potere del senato sarebbe stato irrimediabilmente compromesso).
Lo scontro, sempre latente, si mantenne sempre entro i limiti delle tradizionali forme di governo romane, fino al 49 a.C., quando il senato intimò a Cesare di rimettere il suo comando delle legioni che aveva condotto alla conquista delle Gallie, e di tornare a Roma da privato cittadino. Il 10 gennaio, abbandonando gli ultimi dubbi (Alea iacta est), Cesare attraversò con le sue truppe il Rubicone dando inizio alla guerra civile contro la fazione opposta. La guerra civile fu combattuta vittoriosamente da Cesare su tre fronti: il fronte greco, dove Cesare sconfisse Pompeo nella battaglia di Farsalo, il fronte africano, dove Cesare riusci ad avere la meglio sugli Optimates guidati da Catone Uticense con la decisiva battaglia di Utica (49 a.C.), ed il fronte spagnolo, dove la battaglia decisiva avvenne a Munda sull'esercito nemico guidato dai figli di Pompeo, Gneo e Sesto. Cesare, avuta la meglio sulla fazione avversa, assunse il titolo di dictator, assommando a se molti poteri e prerogative, quasi un preludio della figura dell'imperatore, che però non assunse mai, ucciso alle idi di marzo nel 44 a.C. La morte del dittatore, contrariamente alle dichiarate intenzioni dei congiurati, non portò alla restaurazione della Repubblica, ma ad nuovo periodo di guerre civili. Questa volta però i due contendenti, Augusto e Marco Antonio, non erano i campioni di due fazioni rivali, ma rappresentanti di due gruppi che combattevano per il predominio sulla parte avversa, senza avere alcuna velleità di restaurare la Repubblica, ormai superata come istituzione storica. La guerra civile tra Ottaviano e Marco Antonio terminò con la Battaglia di Azio nel 31 a.C., che decretò il trionfo di Ottaviano e diede inizio de facto al periodo imperiale della storia romana. Augusto mantenne in vita (formalmente) la Repubblica, di fatto trasformandola in una monarchia, pur nell'apparenza del Principato. Ufficialmente ebbe fine dopo il 235 d.C. In particolare, nel 284, l'imperatore Diocleziano, iniziò una nuova fase, il Dominato, cambiando radicalmente le antiche istituzioni romane.
[modifica] Età imperiale (27 a.C.-476 d.C.)
Per approfondire, vedi la voce Impero romano.


Augusto, fondatore dell'impero romano.
[modifica] L'Italia sotto Augusto: le undici regioni augustee
Per approfondire, vedi le voci Augusto e Regioni dell'Italia augustea.
Ottaviano Augusto mantenne le antiche istituzioni repubblicane, seppur svuotandole di ogni potere effettivo. Sebbene la repubblica continuasse formalmente a esistere, in realtà era diventata un principato retta dal princeps o imperatore, che era l'assoluto padrone dell'Impero. Con i nuovi poteri che gli erano stati conferiti, Augusto organizzò l'amministrazione dell'Impero con molta padronanza. Stabilì moneta e tassazione standardizzata; creò una struttura di servizio civile formata da cavalieri e da uomini liberi (mentre in precedenza erano prevalentemente schiavi) e previde benefici per i soldati al momento del congedo. Suddivise le province in senatorie (controllate da proconsoli di nomina senatoria) ed in imperiali (governate da legati imperiali). Fu un maestro nell'arte della propaganda, favorendo il consenso dei cittadini alle sue riforme. La pacificazione delle guerre civili fu celebrata come una nuova età dell'oro dagli scrittori e poeti contemporanei, come Orazio, Livio e soprattutto Virgilio.


L'impero romano raggiunse la sua massima estensione nel 116
La celebrazione di giochi ed eventi speciali rafforzavano la sua popolarità. Augusto inoltre per primo creò un corpo di vigili, ed una forza di polizia per la città di Roma, che fu suddivisa amministrativamente in 14 regioni. Ottaviano completò la conquista dell'Italia, sottomettendo in un arco di tempo compreso tra il 25 a.C. e il 6 a.C. le popolazioni alpine tra cui Salassi, Reti e Vindelici. Per aver completato la sottomissione di tutte le 46 popolazioni della penisola italiana, i Romani eressero in onore dell'Augusto un monumento sulle falde meridionali delle Alpi, presso Monaco. Nel 7 d.C. divise l'Italia in undici regioni. L'Italia fu privilegiata da Augusto e i suoi successori che costruirono una fitta rete stradale e abbellirono le città dotandole di numerose strutture pubbliche (foro, templi, anfiteatro, teatro, terme...), fenomeno noto come evergetismo augusteo. L'economia italiana era florida: agricoltura, artigianato e industria ebbero una notevole crescita che permise l'esportazione dei beni verso le province. L'incremento demografico fu rilevato da Augusto tramite tre censimenti: i cittadini maschi furono 4.063.000 nel 28 a.C., 4.233.000 nell'8 a.C. e 4.937.000 nel 14 d.C. Se si considerano anche le donne e i bambini la popolazione totale nell'Italia del I secolo d.C. può essere stimata sui 10 milioni di abitanti circa, di cui almeno 3 milioni erano schiavi[20]. In politica estera tentò di espandere l'impero. Oltre ad aver conquistato le regioni alpine dell'Italia (vedi sopra), fece anche alcune campagne in Etiopia[21], in Arabia Felix[21] e in Germania[21] ma ebbero poco successo, per la strenua resistenza dei barbari e per il clima avverso. Alla morte di Augusto il suo testamento venne fatto leggere in senato: l'Augusto raccomandava ai suoi successori di non intraprendere nessuna conquista, in quanto un ulteriore espansione avrebbe provocato solo problemi logistici ad un impero già troppo vasto.[21] I successori di Augusto rispettarono questa sua massima, e nei due secoli d'oro dell'impero furono solo due le conquiste durature di rilievo per l'Impero: la Britannia, conquista iniziata nel 43 dall'Imperatore Claudio e portata avanti dal generale Agricola sotto Domiziano, e la Dacia, conquistata da Traiano.


L'anfiteatro Flavio, simbolo di Roma e del potere imperiale ancora ai nostri giorni.
[modifica] Dinastia Giulio-Claudia (14-6Cool
La prima dinastia fu quella Giulio-Claudia, che fu al potere dal 14 al 68; nel corso di mezzo secolo si succedettero Tiberio, Caligola, Claudio e Nerone. I primi anni del regno di Tiberio furono pacifici e relativamente tranquilli. Egli consolidò il potere di Roma e assicurò la ricchezza e la prosperità dello stato romano. Dopo la morte di Germanico e di Druso, i suoi eredi, l'imperatore, convinto di aver perso i favori del popolo e di essere circondato da cospiratori, si ritirò nella propria villa di Capri (26), lasciando il potere nelle mani del comandante della guardia pretoriana, Seiano, che avviò le persecuzioni contro coloro accusati di tradimento. Alla sua morte (37) il trono venne affidato a Gaio (soprannominato Caligola, per la sua abitudine di portare particolari sandali chiamati caligae), il figlio di Germanico. Caligola iniziò il regno ponendo fine alle persecuzioni e bruciando gli archivi dello zio. Tuttavia cadde presto malato: gli storici successivi riportano una serie di suoi atti insensati che avrebbero avuto luogo a partire dalla fine del 37. Nel 41, Caligola cadde vittima di una congiura ordita dal comandante dei pretoriani Cassio Cherea. L'unico membro rimasto della famiglia imperiale era un altro nipote di Tiberio, Claudio. Questi, pur essendo considerato dalla famiglia stupido, fu invece capace di amministrare con responsabile capacità: riorganizzò la burocrazia e conquistò la Britannia. Sul fronte familiare, Claudio ebbe meno successo: la moglie Messalina fu messa a morte per adulterio; successivamente sposò la nipote Agrippina, che probabilmente lo uccise nel 54. La morte di Claudio spianò la strada al figlio di Agrippina, Nerone. Questi inizialmente affidò il governo alla madre e ai suoi tutori, in particolare a Seneca. Tuttavia, maturando, il suo desiderio di potere aumentò: fece giustiziare la madre ed i tutori e regnò da despota. L'incapacità di Nerone di gestire le numerose ribellioni scoppiate nell'Impero durante il suo principato e la sua sostanziale incompetenza divennero rapidamente evidenti e nel 68 Nerone si suicidò.
[modifica] Dinastia dei Flavi (69-96)
Alla morte di Nerone l'ingerenza dell'esercito nella nomina dell'imperatore fu la causa di una guerra per la successione: nel 68, noto come anno dei quattro imperatori, il trono fu conteso da quattro candidati, ognuno eletto imperatore dalla rispettiva legione: Galba, Otone, Vitellio e Vespasiano. La guerra civile si concluse con la vittoria di Vespasiano, che fondò la dinastia Flavia. Questo imperatore riuscì a liberare Roma dai problemi finanziari creati dagli eccessi di Nerone e dalle guerre civili. Aumentando le tasse in modo drammatico, egli riuscì a raggiungere un'eccedenza di bilancio ed a realizzare numerose opere pubbliche, come il Colosseo e un Foro il cui centro era il Tempio della Pace. Il regno del suo successore, il figlio Tito, durò soli due anni e fu segnato da due tragedie: nel 79 l'eruzione del Vesuvio distrusse Pompei ed Ercolano, e nell'80 un incendio distrusse gran parte di Roma. Tito morì nell'81 a 41 anni, forse assassinato dal fratello Domiziano impaziente di succedergli. Fu con Domiziano che i rapporti già tesi tra la dinastia flavia e il senato si deteriorarono a causa della divinizzazione dell'imperatore secondo modalità tipicamente ellenistiche e del divorzio dalla moglie Domizia, di estrazione senatoria. Nella parte finale del suo regno perseguitò filosofi e, nel 95, i Cristiani. Morì l'anno seguente, vittima di una congiura.


Evoluzione geografica dell'Italia nel periodo romano.
[modifica] Dinastia degli Antonini: gli imperatori adottivi (96-192)
Con Nerva (96-9Cool, successore di Domiziano, venne cambiato il sistema di successione degli imperatori con l'introduzione del cosiddetto principato adottivo: questa riforma prevedeva che l'imperatore in carica in quel momento dovesse decidere, prima della sua morte, il suo successore all'interno del senato. Questo faceva sì che i senatori venissero responsabilizzati. Con questo criterio vennero scelti Traiano, Adriano, Antonino Pio, Marco Aurelio e Commodo (quest'ultimo era anche figlio di Marco Aurelio). Tramite la politica di pace instaurata e la prosperità derivatane il governo imperiale attirò consensi unanimi, tanto che Nerva ed i suoi successori sono anche noti come i cinque buoni imperatori. In questo periodo, grazie alle conquiste ad opera di Traiano di Dacia, Armenia, Mesopotamia e Assiria, l'Impero raggiunse la sua massima estensione (117). Le conquiste orientali di Traiano furono però effimere, dato che vennero abbandonate dal successore Adriano (11Cool; parte dei territori perduti vennero poi riconquistati nelle successive guerre romano-partiche. Lo sviluppo economico e la coesione politica ed ideale, raggiunta anche per l'adesione delle classi colte ellenistiche, che contraddistinsero il secondo secolo, non devono, comunque, trarre in inganno, in quanto da lì a poco l'impero cominciò a mostrare i primi sintomi della decadenza.
Quanto all'Italia, il suo posto nell'impero, nel secondo secolo, cominciò a perdere la sua preponderanza, a causa della romanizzazione delle province, e in parte dell'integrazione delle loro élite in seno agli ordini equestri e senatoriali. Il secondo secolo vide l'impero governato da imperatori provenienti dalle province e discendenti da antichi coloni italici: Traiano, Adriano e Marco Aurelio originari della Spagna, Antonino Pio della Gallia Narbonese. Fin dai primi anni del secolo, Traiano cercò di regolamentare la presenza dei senatori in Italia, obbligandoli a possedere un terzo delle loro terre in Italia; secondo Plinio il Giovane (VI, 19) certi senatori provinciali abitavano in Italia difatti come se fossero in vacanza, senza curarsi della penisola. La misura ebbe solamente un effetto limitato, di rialzare momentaneamente i prezzi delle proprietà, che stavano decadendo, e fu reiterata da Marco Aurelio ma in un'inferiore misura, un quarto delle terre.
Altri fattori che assicuravano la sua preminenza sull'impero subirono una flessione, cominciata nel I secolo, che durò tutto il secolo. Le legioni oramai stanziate stabilmente sul limes romano, nelle province lontane, regionalizzarono poco a poco il loro reclutamento, soprattutto a partire da Adriano. Per molto tempo queste osservazioni hanno fatto ritenere vari studiosi che l'Italia romana nel II secolo fosse in declino, toccata da una grave crisi economica, spopolamento e infine incapace di reggere la concorrenza delle province. Altri hanno interpretato tuttavia le numerose importazioni di materie prime che venivano delle province non come il segno di un declino dell'Italia ma piuttosto come la conseguenza della misura sproporzionata del mercato romano-italico, foraggiato dalle imposte e dalle retribuzioni ai funzionari, o del fatto che certi trasporti marittimi a lunga distanza fossero più economici dei trasporti terrestri a media distanza. L'Italia da sola non poteva produrre abbastanza da nutrire Roma col suo milione di abitanti, tanto più che la coltivazione del grano era poco remunerativa rispetto all'olivo e alla vite, le importazioni massicce non bilanciate dalle esportazioni rendono conto di un declino.
Un passo in avanti verso la parificazione dell'Italia con le province venne compiuto da Adriano, quando assegnò l'Italia a quattro consolari portanti il titolo di legati propretori, titolo utilizzato per i governatori di provincia. Il moto di protesta sollevato nel senato, rappresentante dei vari municipi d'Italia, lesi nella loro autonomia fino ad allora garantita, fece sì che la misura fosse annullata dal suo successore. La soluzione di Adriano rispondeva tuttavia ad una reale esigenza: le regioni dell'Italia avevano bisogno di un'amministrazione più gerarchizzata, in particolare nel campo della giustizia civile. Tanto che Marco Aurelio creò egli stesso nel 165 i giuridici ( iuridici ) che esercitavano nei distretti. A ben guardare il secondo secolo fu per l'Italia un secolo di transizione, di indietreggiamento della sua preminenza, ma non il declino che la storiografia ha letto fino agli anni settanta, appoggiandosi tra altri sulle tesi di M. Rostovtseff. Il vero declino sarebbe arrivato dopo. I prodromi della crisi che investì l'impero romano nel III secolo iniziarono a farsi sentire soprattutto con la successione al trono di Commodo (180-192). Il figlio di Marco Aurelio incrinò l'equilibrio istituzionale raggiunto e con il suo atteggiamento dispotico favorì il malcontento delle province e dell'aristocrazia. Questo malcontento generale fu la causa del suo assassinio nel 192. Con lui cessava l'era degli Antonini.
[modifica] Dinastia dei Severi (193-235)
Tra la fine del II e l'inizio del III secolo l'Italia romana, in coincidenza con l'inizio del declino dell'impero, perse man mano i suoi privilegi di territorio non provinciale fino a venire parificata alle province. Intanto l'assassinio di Commodo diede il via a una breve guerra civile tra tre pretendenti al trono (tutti nominati all'esercito), che vide la vittoria di Settimio Severo, che diede inizio alla dinastia dei Severi.[22] Nel corso del suo regno, Settimio Severo (193-211) aumentò i poteri all'esercito e per questo viene visto da alcuni storici come uno degli artefici della rovina dell'impero.[22]
Alla sua morte (211) gli succedettero i figli Caracalla e Geta; l'ultimo dei due venne però fatto uccidere dal primo.[23] Nel 212 Caracalla concesse la cittadinanza, finora concessa salvo alcune eccezioni solo agli italici, a tutti gli abitanti dell'Impero, segnando un ulteriore passo in avanti verso la parificazione con le province. Il suo regno e quello dei suoi successori (Eliogabalo e Alessandro Severo) fu caratterizzato da lotte intestine[23], che nel 235 portarono, con l'uccisione di Alessandro Severo a opera del suo esercito, all'estinzione della dinastia dei Severi e all'inizio dell'anarchia militare.
[modifica] L'Anarchia militare (235-284)
Per approfondire, vedi la voce Anarchia militare.
Il periodo cosiddetto dell'anarchia militare durò dal 235 al 284 e fu caratterizzato dagli assalti dei barbari che premevano sul limes, che costrinsero i Romani a evacuare la Dacia e gli Agri Decumati (in Germania), e dalla crescente importanza dell'esercito, che spesso era fonte di disordini interni, con numerose rivolte e nomine di usurpatori: molti imperatori nel corso del III secolo morirono di morte violenta, per mano dell'esercito.
[modifica] Tardo Impero (284-395)


I quattro tetrarchi.
La crisi del III secolo venne in qualche modo frenata dall'imperatore Diocleziano istituendo la Tetrarchia, un regime collegiale di due Augusti e due Cesari che amministravano raggruppamenti distinti di province dell'Impero, accresciute in numero e riunite in diocesi; i Cesari alla morte o all'abdicazione degli Augusti sarebbero diventati a loro volta Augusti, designando altri due Cesari. In questa circostanza l'Italia venne parificata alle altre province diventando una diocesi a sua volta suddivisa in province, corrispondenti grossomodo alle regioni augustee. Diocleziano, inoltre, per contrastare meglio le invasioni, tolse a Roma il ruolo di sede imperiale preferendole città più vicine ai confini minacciati (Milano, Nicomedia, Treviri e Sirmio), ma le lasciò il titolo di capitale dell'Impero.
La riforma tetrarchica di Diocleziano non risolse però nei fatti il problema della successione, dato che alla sua abdicazione (305) scoppiò una guerra civile tra i vari Cesari e Augusti, che terminò solo nel 324 con la vittoria di Costantino I. Quest'ultimo (imperatore dal 306 al 337) continuò la politica di Diocleziano, fondando una seconda capitale nell'antico sito di Bisanzio, da lui ridenominata Costantinopoli (330). Sempre Costantino pose fine con l'Editto di Milano (313) alle persecuzioni contro i cristiani; il cristianesimo da qui in poi assunse sempre maggiore importanza per l'impero e, dopo un tentativo da parte dell'imperatore Giuliano (360-363) di restaurare il paganesimo, sotto il regno di Teodosio I (379-395) il cristianesimo divenne la religione ufficiale dell'Impero (380). L'Italia, pur perdendo sempre più importanza, rimaneva comunque una delle regioni più importanti dell'Occidente romano, perlomeno dal punto di vista religioso (il Papa risiedeva a Roma). Nel 395, alla morte di Teodosio, l'Impero si trovò definitivamente suddiviso in un Impero d'Occidente (capitale Milano, poi Ravenna) e in un Impero d'Oriente (capitale Costantinopoli).


Deposizione di Romolo Augusto.
[modifica] L'Impero romano d'Occidente (395-476)
Per approfondire, vedi le voci Caduta dell'Impero romano d'Occidente e Caduta dell'Impero romano d'Occidente (storiografia).
Mentre l'Impero romano d'Oriente riuscì a sopravvivere per un altro millennio, la parte occidentale crollò in poco meno di un secolo. Sono state proposte numerose teorie per spiegare come Roma cadde, non tutte concordi (v. caduta dell'Impero romano d'Occidente (storiografia)): si ritiene che furono le invasioni barbariche a cagionarne la rovina, anche se il successo dei barbari fu almeno in parte agevolato dai limiti interni dell'Impero (perdita del mos maiorum, separatismo provinciale, l'influsso del cristianesimo sulla combattività dei soldati e sulle discordie interne causate dalla lotta alle eresie, danni provocati dalle riforme di Costantino I ecc.).[24] Nel corso del V secolo, a partire dal 406, Vandali, Alani, Svevi, Burgundi e Visigoti (spinti dalla migrazione verso occidente degli Unni) sfondarono il limes dell'Impero e dilagarono nelle province galliche e ispaniche, costringendo i Romani a riconoscerli come foederati (cioè alleati dell'Impero che, in cambio del loro sostegno bellico, ottenevano il permesso di stanziarsi in alcune province), che, tuttavia, si svincolarono man mano dall'autorità centrale, andando a costituire dei veri e propri regni romano-barbarici, solo nominalmente facenti parte dell'Impero. Neanche l'Italia era al sicuro dai Barbari: il sacco di Roma del 410 ad opera dei Visigoti di Alarico I venne vista dai contemporanei come il segno imminente della fine del mondo. Discordie interne peggiorarono la situazione: il comes d'Africa Bonifacio, nominato nemico pubblico da Galla Placidia, per difendersi invitò i Vandali in Africa, che nel giro di un decennio la strapparono all'Impero (429-439), con il sostegno dei Mauri e della setta eretica dei Donatisti. I Vandali costruirono una flotta e in breve tempo occuparono la Sicilia, la Sardegna, la Corsica e le Isole Baleari, riuscendo anche nell'impresa di saccheggiare Roma (455).
In breve, a parte una parte della Gallia e la Dalmazia, l'Impero si era ridotto alla penisola italica. Tuttavia anche là l'influenza dei barbari si fece sentire e minò la già traballante autorità degli Imperatori: nell'ultimo ventennio di vita dell'Impero esso era governato da imperatori fantoccio manovrati da dietro le quinte da generali di origini germaniche (Ricimero (461-472), Gundobaldo (472-474), Flavio Oreste (475-476)), ormai i veri padroni di Roma. L'ultimo di questi generali, Oreste, dopo aver costretto alla fuga l'Imperatore legittimo Giulio Nepote, che si rifugiò in Dalmazia, pose sul trono il figlio Romolo Augusto; un anno dopo tuttavia il rifiuto da parte di Oreste di cedere alle truppe mercenarie barbariche un terzo dell'Italia causò la rivolta di quest'ultime, che, capeggiate da Odoacre, deposero l'ultimo imperatore Romolo Augusto, causando la caduta formale dell'Impero. Infatti Odoacre decise di non nominarsi Imperatore romano, ma semplicemente Re d'Italia.
[modifica] L'Alto Medioevo

Per approfondire, vedi la voce Italia medievale.


Giustiniano riuscì a riannettere l'Italia all'Impero romano grazie alle gesta militari di Belisario e Narsete.
[modifica] Eruli, Goti e Bizantini (476-56Cool
Per approfondire, vedi la voce Guerra gotica (535-553).
Deposto Romolo Augusto, Odoacre governò l'Italia per 17 anni come rex gentium – una formula del tutto nuova – teoricamente alle dipendenze di Zenone, imperatore d'Oriente. Si servì del personale amministrativo romano, lasciando libertà di culto ai cristiani e combatté con successo i Vandali strappando loro la Sicilia. Ma nel 489 Zenone allontanò gli Ostrogoti dal basso Danubio inviandoli in Italia affinché rovesciassero Odoacre e si sostituissero agli Eruli nel governo dell'Italia. Dopo cinque anni di guerra, il re goto Teodorico riuscì ad uccidere Odoacre e a impadronirsi del trono. Teodorico, che aveva vissuto a lungo a Bisanzio, garantì pace e prosperità all'Italia, affidando le magistrature civili ai Romani e l'esercito ai Goti; l'autorità dei magistrati romani era però limitata da funzionari goti detti comites. Nonostante fosse ariano, si mostrò tollerante con i Cattolici, anche se negli ultimi anni di regno reagì alla decisione dell'Imperatore Giustino di bandire dall'Impero l'arianesimo lanciando una serie di persecuzioni che ebbero tra le sue vittime il filosofo Severino Boezio, condannato a morte. Gli succedette Atalarico (526-534).
Nel 535 il nuovo e ambizioso imperatore d'Oriente Giustiniano (527-565) prese di mira la penisola nel suo tentativo di ricomporre l'unità dell'impero romano. Da lì iniziò la lunga guerra gotica, che si protrasse per oltre vent'anni, portando ulteriori devastazioni dopo le invasioni barbariche. Durante questa guerra i Bizantini, alla testa dei generali Belisario e Narsete, conquistarono la Dalmazia e l'Italia, nonostante la strenua resistenza del re goto Totila (541-552). L'Italia dopo la guerra era devastata: Roma dopo quattro assedi consecutivi era ridotta a non più di 30.000 abitanti e la situazione già grave fu peggiorata da una pestilenza. La Prammatica Sanzione promulgata da Giustiniano nel 554 (che tra le altre cose prometteva fondi per la ricostruzione) non riuscì a far tornare l'Italia una terra prospera e soli quattordici anni dopo una nuova invasione di un popolo germanico toccò l'Italia intera: i Longobardi.


L'Italia tra il 568 e il 774
[modifica] I Longobardi, il Ducato romano e i Bizantini (568-774)
Per approfondire, vedi le voci Esarcato d'Italia, Regno longobardo e Ducato romano.
Nel 568 l'Italia settentrionale venne invasa dai Longobardi, una tribù germanica stanziata in Pannonia, ma che abbandonò la terra sotto la pressione degli Avari. In pochi anni i Longobardi sottomisero tutto il nord Italia (tranne le zone costiere del Veneto e della Liguria), la Toscana e buona parte del centro-sud (che costituì i ducati semi-indipendenti di Spoleto e Benevento). I Longobardi erano ariani e nei primi tempi esercitarono un brutale diritto di conquista sui Romanici sottomessi, apportando devastazioni non inferiori alla guerra gotica.[25] La penisola era frazionata in due zone di influenza: longobarda (regno longobardo suddiviso in Langobardia Maior e Langobardia Minor) e bizantina (esarcato d'Italia, costituito intorno al 584), con il Ducato romano formalmente in mano bizantina ma governato con una certa autonomia (comunque non totale) dal Papa.
I primi due re, Alboino (? -572) e Clefi (572-574) morirono assassinati. Seguirono dieci anni di anarchia, con il regno longobardo senza un re e frammentato in 35 ducati indipendenti fra loro.[26] Tentò di approfittarne l'Imperatore bizantino Maurizio, alleato con i Franchi.[27] I Longobardi tuttavia, vista la minaccia dei Franchi, decisero di porre fine all'anarchia eleggendo re Autari (584-590), che riuscì a respingere le incursioni franche. I successori di Autari, Agilulfo (590-616) e Rotari (636-652), espansero ulteriormente il regno strappando ai Bizantini l'Emilia, la Liguria e il Veneto interno. In breve dovettero cercare anch'essi una forma di dominio più organizzata: arrivarono le leggi scritte (Editto di Rotari, 643), dei funzionari regi con compiti di giustizia e supervisione (gastaldi), e, nel 603, l'inizio della conversione al cattolicesimo per opera della regina Teodolinda dopo che un primo tentativo di conversione per opera del papa Gregorio Magno non aveva avuto successo.
Nel frattempo i papi entrarono in contrasto con Bisanzio per la questione del monotelismo, una formula teologica compr

25/09/2011, 15:28
#9
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maurow
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ahahhahahhahah troppo simpatico primopugile...


La libertà non si insegna, è una scelta individuale.
25/09/2011, 16:12
#10
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(Questo messaggio è stato modificato l'ultima volta il: 25/09/2011, 17:51 da x7PrimoPugile7x.)

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GrazieWink e tu un buon membro che metti sempre hack anche se certe volte nn funzionano però bravo!!ahahah Wink

25/09/2011, 17:33
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